Nel 2013 è scoppiata in Sud Sudan una feroce guerra civile, che non accenna a terminare. Ad oggi quasi un milione e mezzo di rifugiati, di cui oltre l’85% donne e bambini, vivono nella confinante Uganda, un paese non certo ricco, ma estremamente generoso, che ha messo in campo delle politiche che consentono ai rifugiati di contare su diritti a loro negati in altri paesi delle Nazioni Unite. Tra i rifugiati ci sono sopravvissuti ad attacchi armati, violenza sessuale, bambini che sono stati separati dai loro genitori o che hanno viaggiato da soli, disabili, anziani e persone che hanno bisogno di cure mediche urgenti. In Sud Sudan, le guerre politiche ed etniche sono esplose e ci sono 5,5 milioni di persone in tutto il paese che hanno urgente bisogno di cibo e assistenza umanitaria. In questo momento, la crisi nel Sud Sudan rappresenta l’emergenza umanitaria in più rapida crescita al mondo. Il Sud Sudan non ha sbocco sul mare ed ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan solo nel 2011. Confina con Sudan, Etiopia, Kenya, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centroafricana. Nel dicembre 2013 l’escalation di violenza iniziò a Juba, la capitale della nazione, e presto si diffuse, scatenando una guerra civile. Anche nel vicino Congo la situazione politica è caratterizzata da grande instabilità, e soprattutto al confine con l’Uganda si verificano violenti scontri fra tribù rivali. Questo ha fatto sì che in moltissimi abbiano cercato la salvezza approdando in Uganda. Il programma di accoglienza ugandese rappresenta un esempio virtuoso, perché permette ai rifugiati di muoversi liberamente per l’intera nazione, e garantisce loro un appezzamento di terreno dove potersi costruire un riparo e iniziare a coltivare per autosostenersi. Questo è possibile anche perché l’Uganda non è una nazione fortemente urbanizzata e gran parte del territorio è inutilizzato e grazie alle numerose ONG che affiancano l’UNHCR, tra cui Save The Children, Danish Refugee Council, ACAV e ai fondi che arrivano dalle Nazioni Unite. Le modalità di inserimento dei rifugiati nella comunità sono particolarmente veloci, variano dai tre ai sei giorni, durante i quali i rifugiati vengono identificati, curati, vaccinati in vari punti di raccolta e di appoggio temporaneo, fino a che vengono rilocati nel terreno assegnatogli dal governo. I campi rifugiati, presenti soprattutto a Nord Ovest e Sud Ovest sono diventati veri e propri villaggi, come il Rhino Camp, che abbiamo scelto come base, nel distretto di Arua, che conta oltre 70.000 persone, dove chi fugge dalla guerra può cercare di ricostruirsi una vita, con difficoltà, in povertà, ma mantenendo la propria dignità di essere umano.
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Alessandro Tesei